La leggenda narra che Catone il censore, mostrando in senato un cesto di fichi proveniente da Cartagine, volesse ammonire i senatori presenti che la città punica costituisse un pericolo imminente per gli interessi dell’impero. Da quel giorno in poi ogni suo discorso terminò con “Ceterum censeo Carthaginem delendam esse” (d’altronde, ritengo che Cartagine debba essere distrutta). Quali sono i confini del nostro impero? Quale è la nostra Cartagine?
Ogni civiltà si crea i suoi confini, ogni civiltà si crea i suoi nemici. Barbari erano i romani per i greci, barbari erano i sassoni per i romani, barbari sono gli europei continentali per gli inglesi; barbari erano i normanni per gli arabi, barbari sono gli arabi per i norvegesi.
Le parti nel tempo si invertono le motivazioni permangono. Tacito nel I secolo scriveva dei romani: “Predatori del mondo intero, dopo aver devastato tutto, non avendo più terre da saccheggiare, vanno a frugare anche il mare; avidi se il nemico è ricco, smaniosi di dominio se è povero, tali da non essere saziati né dall’Oriente né dall’Occidente, gli unici che bramano con pari veemenza ricchezza e miseria. Distruggere, trucidare, rubare, questo, con falso nome, chiamano impero e là dove hanno fatto il deserto, lo hanno chiamato pace“.
Cosa si pensa oggi della civiltà occidentale, della Nato, dei mercati? Siamo predatori ma indichiamo negli altri i nuovi barbari. La prova è la paura del prossimo, l’egoismo è alla base del nostro contratto sociale. Chi non è con noi è contro di noi. Trascorsi migliaia di anni abbiamo cambiato i mezzi ma mai il fine. A malincuore riteniamo che questo sia parte della natura umana ed in quanto tale non possa essere cambiata. Ciò che possiamo fare è cambiare i nostri confini, cambiare la nostra Cartagine. Se i confini da invadere diventassero i confini dei nostri pregiudizi e Cartagine diventasse il nostro egoismo, allora si che potremmo terminare ogni nostro discorso con …ceterum censeo Carthaginem delendam esse.