Pane e veleno

Enzo Turco in un mitico film del 1953 si lamentava: “in questa casa mangiamo pane e veleno'” e Totò precisava: “Pascà, veleno, solo veleno!”.
Sono ormai passati quasi sessant’anni ma più che mai il dibattito si sta acuendo: pane e veleno! Come sempre accade in questi casi l’evento di cronaca ci ispira ma non ci intriga. Se ne parlerà per un estate ma poi inizierà a retrocedere cedendo il posto a notizie fresche, stupide, inutili ma fresche: è la legge dei media.
Se sia giusto che si debba mettere su una bilancia il pane e il veleno è la questione che intendiamo dibattere.
Iniziamo subito col dire i fatti e poiché la cronaca non ci interessa faremo solo riferimenti e non citazioni.
Una società produce un prodotto, ha degli utili dalla sua vendita. Per produrre questo prodotto ha bisogno di materie prime, macchinari e personale che li sappia usare. La società ha il suo stabilimento in una città, la maggior parte del personale proviene o è andata a vivere in questa città. Fino a qui tutto normale. In questa città la gente si ammala più delle altre città e dopo molti anni i giudici dicono che lo stabilimento è la causa che fa star male la gente che vive in questa città, uccidendola. Anche se la storia si fa antipatica, ruvida, si riesce a comprendere ancora il senso. Secondo voi come dovrebbe finire la storia?
Lo stabilimento viene chiuso; B) Lo stabilimento viene dislocato in un posto dove non può arrecare danno; C) Lo stabilimento viene riconvertito e reso innocuo alle persone che abitano la città.
Se fosse un test a risposte multiple, troveremo la risposta nelle tre opzioni ma non è così purtroppo, non può essere così.
Le cose, come la cronaca ci riporta,, si sono complicate così tanto da far schierare Caino contro Abele, gli Orazi contro i Curazi, ancora una volta, i Guelfi contro i Ghibellini, costringendo a schierarsi con gli uni o con gli altri come se si potesse, come se si dovesse.
Pane e Veleno è la scelta, o tutto e due o niente. Come se potesse essere una scelta. Vuoi mangiare? Il Pane è avvelenato, l’acqua anche e pure l’aria ma è l’unica cosa che posso offrirti. Che bella pensata! Al prossimo barbone che incontriamo gli diamo una capsula di cianuro, è poco ma è meglio di niente. Ciò che fa rabbrividire è il dibattito che si è aperto, le contestazioni, gli imbarazzi, gli stessi di cui abbiamo già scritto.
La questione si è complicata perché é entrata in gioco una parola di cui tutti conosciamo il significato ma spesso non ne comprendiamo il senso: lavoro. Già il lavoro. Nei millenni l’uomo ha specializzato sempre più il proprio lavoro, dalla caccia e la pesca all’agricoltura poi l’artigianato e alla fine del settecento iniziò la trasformazione del proletariato in classe operaia con l’apertura delle prime industrie. Nell’ottocento la consapevolezza di essere classe sociale trasformò il lavoro da necessità in diritto.
Per tutto il novecento il lavoro divenne, appunto, diritto in tutta l’Europa Occidentale, una schiavitù in quella Orientale. Già, come se lavorare potesse essere sempre un valore. Arbeit macht frei (il lavoro rende liberi) scrivevano i nazisti all’ingresso dei campi di concentramento. Come per dire se lavorerete, dimenticherete che siete qui per morire. Ci crederete?, gli ebrei lavoravano. Lavoravano raccogliendo i cadaveri dei loro compagni dalle docce, lavoravano selezionando tutto ciò che poteva essere selezionato dagli indumenti dei nuovi arrivati e addirittura lavoravano scavando le fosse comuni dove poco dopo sarebbero stati sepolti.
Mi sono sempre chiesto perché se uno punta un fucile addosso ad un altro e gli ordina di scavare una fossa, questi inizia subito a farlo. Se gli chiede di inginocchiarsi, pure. Forse è nella la natura umana, la speranza che qualcosa possa accadere, che modifichi la situazione, che prevalga il senso di pietà.
Oggi un gruppo di industriali chiede a degli operai di mangiare pane e veleno, questi lo fanno, e lottano per continuare a farlo, si scavano la fossa, ma credono, sperano, che qualcosa possa cambiare. La speranza è sempre l’ultima a morire ma morirà anche quella avvelenata. Così sei milioni di ebrei morirono, nella speranza che l’uomo cambiasse, nella speranza di sopravvivere, pochi in effetti ci riuscirono ma a che prezzo… Oggi un’intera città rischia di essere avvelenata, è il prezzo che deve pagare per non perdere i posti di lavoro, nella speranza che quegli uomini facciano qualcosa. Qualcosa in questi anni lo hanno fatto: hanno pagato i media perché tacessero, i periti perché alterassero i risultati, i politici perché non intervenissero, tutti. Ma la conclusione della nostra storia è già scritta anche se non è ancora accaduta. Da qui a poco accadrà qualcosa, e come disse Totò: “Pascà, già te l’ho detto: qua si mangia solo veleno!”.

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