Otzi aveva circa la mia età quando stava attraversando le Alpi tra l’attuale confine italo-austriaco, nei pressi del Lago di Vernago. L’ultimo suo pasto era stato a base di carne di cervo. Soffriva di intolleranza al lattosio e di artrosi, ma questo non gli impediva di percorrere lunghi viaggi a piedi. Inseguito, braccato da alcuni uomini, cercava di sfuggirgli, scegliendo un percorso arduo e pericoloso. Lo avevano ferito ad una spalla, una freccia conficcata nei tessuti molli, sanguinava, i compagni lo avevano lasciato indietro e si erano dati alla fuga.
A circa 3200 metri di altezza, il tempo non era certo mite, anche se si era d’estate. Pantaloni e scarpe fatte con pelli di animale erano l’unica protezione contro il freddo. Per difendersi e anche per cacciare un’ascia in bronzo e un arco con sole due frecce. Il suo corpo era pieno di tatuaggi; ma nessuno raffigurante animali e segni tribali, solo punti e linee. Più che tatuaggi i segni di una cura contro l’artrosi.
Otzi non era il suo vero nome, gli è stato dato molto tempo dopo la sua morte da un gruppo di persone che hanno ritrovato il suo corpo. Già, il suo corpo, perché oggi Otzi è un reperto, un reperto archeologico di circa 5200 anni fa. Un raro esemplare di Homo Sapiens mummificato dal ghiaccio. La sua pelle, i suoi vestiti, gli attrezzi che portava con se, perfettamente conservati dal ghiacciaio ed emersi solo di recente per gli effetti della scioglimento dei ghiacci dovuto all’innalzamento della temperatura del pianeta.
In quel periodo gli uomini in Europa erano pochi, eppure avevano la necessità di spostarsi da un posto all’altro, attraversando, senza saperlo, quelli che noi oggi chiamiamo i confini delle nazioni.
A quei tempi non esistevano confini: c’erano valli, fiumi, catene montuose, pianure, laghi, foreste, e l’unico vero limite era il mare. Troppo grande per attraversalo tutto, troppo pericoloso per farlo con quelle piccole barche che riuscivano a costruire cavando un tronco di albero.
Di Otzi nel nostro sangue non è rimasto nulla. Nessuno di noi può dirsi un suo discendente, forse perché non ebbe figli, forse perché morirono quello stesso giorno con lui, forse perché, prima di lui o dopo i lui, la sua famiglia morì per gli stenti della fame, sopraffatta da qualche predatore o assassinata anch’essa in un imboscata. E certo che nessuno, subito dopo la sua morte, si occupò del suo corpo. Ferito, dissanguato, venne abbandonato a se stesso, morì dopo un lenta e fredda agonia, da solo, tra la neve poi trasformatasi in ghiaccio che ha conservato quell’istante della sua morte per millenni, per poi riconsegnarcelo. Il corpo supino le braccia entrambe da un sol lato, venne ritrovato nel 1991 da una coppia di escursionisti. Creduto un montanaro deceduto decenni prima si rivelò essere un uomo appartenuto alla prima età del bronzo. Una scoperta sensazionale per gli antropologi, una straordinaria risorsa di informazioni per gli archeologi, in occasione unica prima per la comunità austriaca e poi per quella italiana che si sono contesi il ritrovamento andando a misurare con esattezza metro per metro, centimetro per centimetro, il confine italo-austriaco.
Un’intero museo dedicato a lui, convegni, mostre, studi e pubblicazioni sulle migliori e più autorevoli riviste scientifiche. Il suo corpo, già il suo corpo, mostrato alla meraviglia dei visitatori, allo stupore dei bambini, alle osservazioni degli studiosi. Nel prossimo settembre una intera sessione di studi e di conferenze lo riporteranno di nuovo alla ribalta mediatica per festeggiare il 25° anniversario del suo ritrovamento.
Oggi è conservato in una speciale stanza refrigeratrice con pareti in vetro, in modo da permetterne la visione ai visitatori del museo. Temperatura ed umidità costante ne garantiranno per sempre la conservazione. Il suo corpo, già il suo corpo, sarà visitato, studiato, esaminato ed analizzato per molti anni a venire, fino a quando di lui non si riuscirà a sapere ogni cosa possa dirci, possa raccontarci. Abbandonato moribondo, la sorte ha voluto che si conservasse intatto per migliaia di anni da morto. Oggi il mondo intero aspetta che quel copro parli, ci dica qualcosa di quel passato. Ma cosa altro volete che ci dica se non di riposare in pace, cosa altro volete che dica se non: “lasciatemi riposare in pace, come ognuno di voi vorrebbe fare”. Cosa volete che ci dicano i suoi occhi cavi, le sue ferite, il naso fratturato, le sue braccia penzolanti su un lato?
Lasciate che per quel corpo termini finalmente quella triste giornata iniziata migliaia di anni fa, lasciate che anche per lui giunga la notte, senza che perseveri in eterno.. Fatelo per Otzi, fatelo almeno per il suo corpo.