Scrivere o leggere del rapporto tra cielo, tempo e architettura lascia sempre spazio a molteplici suggestioni. Suggestioni che rimandano a simboli ancestrali, lontani da ciò che è prossimo alle esigenze contingenti della vita umana. Cielo e tempo sono entrambi sostantivi, il primo legato allo spazio fisico, il secondo, la cui definizione è ancora contesa tra filosofia e scienza, è considerato il susseguirsi degli eventi. Nel nostro immaginario essi hanno, però, un comune denominatore: sono entrambi infiniti. Infiniti perché al di là dell’universo c’è il nulla, aldilà del tempo pure. Le civiltà umane, sin dalle proprie origini, avevano ben chiaro questo concetto e l’architettura, o meglio quella che noi oggi definiamo architettura, nel suo configurarsi tra spazio e tempo, ha cercato di cristallizzarli, racchiuderli.
Tra le prime costruzioni umane troviamo i dolmen, sostituiti dai totem e poi dagli obelischi. Prima dei templi, i santuari, prima delle costruzioni residenziali, abbastanza solide da sopravvivere ai loro costruttori e giungere a noi, prima delle costruzioni da difesa capaci di sopravvivere agli attacchi dell’uomo e del tempo, l’uomo costruì i dolmen: costruzioni ben lontane dal soddisfacimento di bisogni materiali, costruzioni realizzate solo per il soddisfacimento del suo fabbisogno spirituale.
Nell’antico Egitto i faraoni, rinunciando alla costruzione di una dimora reggia, impiegavano i loro sforzi per la realizzazione di una tomba che potesse accoglierli per l’eternità. Questa tomba, per la stragrande maggioranza degli studiosi, rappresentava un elemento del cosmo: una stella, l’insieme delle tombe una costellazione. Gli antichi Maia sono ricordati più per i loro calendari che per le loro dimore, calendari che arrivavano a contare i giorni dell’anno per millenni, fino ai nostri, tanto da farci credere che nel 2012, data in cui terminavano i calendari, sarebbe finito anche il nostro tempo.
Costruire una piramide per gli egizi o una ziqqurat per i sumeri, così come costruire un osservatorio astronomico per i Maia (il Caracol), non fu uno sforzo da poco. Migliaia di uomini, migliaia di pietre, migliaia di giorni, tutto per osservare il cielo, tutto per rappresentarlo, tutto solo per dare una casa ad uno spirito, un Dio, che in un tempo lontano, da un punto del cosmo sarebbe giunto per dimorarvi. Per le antiche civiltà il cielo e il tempo avevano un valore ancestrale prima di ogni altra necessità umana, compresa la sopravvivenza stessa. Per le antiche civiltà umane nel cielo e nel tempo era racchiuso il significato e l’inizio stesso dell’esistenza.
Genesi 1,1-2,4
1,1 In principio Dio creò il cielo e la terra.
2 La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. 3 Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu.
4 Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre
5 e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno. 6 Dio disse: «Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque».
7 Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che son sopra il firmamento. E così avvenne.
8 Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno.
Il Dio di Abramo creò il Cosmo, la Terra e il Tempo, nel suo susseguirsi tra notte e giorno, prima di creare ogni essere vivente, prima di creare l’uomo. Il Dio ebraico è precedente al tempo, precedente allo spazio, precedente all’universo. In maniera diversa, per gli Egizi, il dio Amon-Ra era il sole al tramonto, presente all’inizio dei tempi come la stessa terra. Gli antichi greci immaginarono, invece, che all’inizio del tempo esistesse solo il Caos, il Caos generò il Cosmo, dal Cosmo presero vita gli Dei.
Non c’è culto antico che non tenga in stretta correlazione il Tempo e il Cosmo, come non c’è civiltà tardo arcaica che non legasse al cielo lo scandirsi del Tempo e le conseguenti attività sociali, colturali agricole.
Raccogliere in un testo, un culto, una religione tutte le interazioni tra Tempo e Cosmo e l’influenza che queste avrebbero avuto sulla crescita e sviluppo della civiltà, richiedeva una conoscenza multidisciplinare inimmaginabile al tempo, se non in via filosofica. Conoscenza, che nel periodo proto-storico o arcaico si trasformava nella necessità di dare un senso alle cose, al mondo che ci circondava. Il Tempo aveva un inizio, li, si poneva la nascita della materia, anche se sotto forma di Caos. Gli astri, presenti nel firmamento avevano un ruolo spirituale, il loro movimento era invece premonitore. Tutto ciò che proveniva dal cielo era considerato divino come tutto ciò che vi accadeva, come una semplice alba. Amon-Ra il Sole nascente, l’inizio del giorno, era l’incarnazione del Tempo e dell’astro più grande presente nel cielo all’ora visibile. Il Sole era tutto: la luce, la vita. Ramses II eresse il suo tempio, quello di Abu Simber, rivolto al Sole nascente. Il 19 Febbraio ed il 20 Ottobre i raggi solari penetravano nella cella ad illuminare tre della quattro statue presenti sul fondo: Amon-Ra di Tebe (il padre di tutti gli dei e dio del sole), lo stesso Ramses II divinizzato, Ra-Harakhti di Eliopoli (il falco con il disco solare) e Ptah di Menfi (dio delle tenebre, dell’arte e dell’artigianato) l’unica statua a rimanere sempre nell’ombra.
Cosa rappresentavano per gli egizi le due date? La prima data, il 19 Febbraio, la probabile piena del Nilo che avrebbe concimato i campi con il suo limo; il 20 Ottobre, la data dell’inizio del raccolto. Un’enorme orologio astrale, alto trentatré metri e largo quasi quaranta, sul cui ingresso quattro enormi statue raffiguranti Ramses II, ognuna con indosso il suo copricapo che simboleggiava l’unione dei due regni (Alto e Basso Egitto). In un’unica opera, tra scultura e architettura, erano racchiusi il Tempo, il Cosmo e soprattutto la volontà dell’uomo di controllarli. Ramses non sedeva al fianco degli Dei ma al centro. I suoi figli erano rappresentati da piccole statue poste all’ingresso del tempio, all’ombra delle sue alte più di venti metri. Nella cella interna, invece, lui era grande quanto i suoi padri, era grande quanto gli dei che lo avevano generato. Ramses II non aspirava a governare l’Egitto, aspirava a governare il Cosmo e lo avrebbe fatto fino alla fine dei tempi.
Dopo lo spostamento del tempio, in seguito alla costruzione della diga di Assuan nel 1960, i giorni in cui il sole penetrava nel tempio erano diventati il 22 Febbraio e 22 Ottobre. La crescente esigenza di energia e gli interessi economici ad essa collegati, prevalevano sulla volontà divina.
Per i greci il Sole era il padre delle divinità dell’Olimpo le quali diedero il nome ai pianeti (dal greco planetes: errante, vagante); non considerati essi stessi divini ma semplicemente corpi celesti. La scissione tra il divino e il Cosmo era avvenuta nella notte dei tempi, gli Dei erano sulla terra e ne rappresentavano la sua natura (Nettuno, il Dio del mare, Elio il Dio del vento, etc.). I giganti del pensiero filosofico occidentale avevano ridotto alla coscienza dell’uomo i segreti dell’esistenza. La creazione del mito, non è nulla se non il tentativo di ordinare la realtà in cui vivevano, dare un senso a ciò che accadeva la dove non arrivava la conoscenza. L’architettura religiosa greca era caratterizzata da edifici nel cui interno continuava la tradizione di rappresentare le divinità (Atena, Marte, etc.) con statue enormi. Le sculture rappresentanti gli uomini, invece, erano, a differenza di quelle egizie, in scala reale. Nessun uomo era immortale, neanche se era figlio di un Dio (Achille, Perseo, etc.). Per ogni uomo il Tempo aveva un inizio ed una fine, solo alla gloria delle sue gesta era riservata l’immortalità. Il cielo restava un mistero, inesorabile continuava la ricerca delle sue leggi. Nulla di trascendente, ma leggi che regolassero il Cosmo e il Tempo, inteso come il susseguirsi del giorno e della notte e delle stagioni nell’anno, qualche volta le intuizioni, nate da semplici osservazioni, andavano molto vicino alla realtà. Aristarco di Samo, nel III a.C., teorizzo che la Terra era tonda, ruotava intorno al Sole e che il suo asse fosse inclinato in modo tale da generare le stagioni. Quando gli obiettavano che, secondo la sua teoria, anche le stelle avrebbero, come i pianeti, dovuto ruotare intorno al Sole, semplicemente rispose che queste erano molto più lontane e molto più grandi ed é per questo sembravano immobili. Passarono molti secoli e molte scomuniche prima che questa teoria fosse resa evidente dalla scienza.
Mito, religione, filosofia e scienza, nei secoli successivi, hanno continuato a contendersi il primato sulla ricerca dei valori simbolici e astrali.
Nell’architettura romana il tentativo di racchiudere la volta celeste si rendeva palese nelle costruzioni di opere come il Pantheon, il tempio di tutti gli Idei, ripreso successivamente dalla tradizione cristiana con la costruzione delle cupole. Nel nord Europa, le cattedrali gotiche, viste dall’esterno, aspiravano al cielo, osservate dall’interno lo contenevano.
Poco prima, quando nei secoli bui della cultura accidentale, il misticismo e la religione, prevalsero sulla filosofia e la scienza, un gruppo di uomini nel tentativo di isolarsi da una civiltà corrotta e violenta creò una nuova ”regola”. I monaci benedettini scandivano le ore del giorno, le settimane e le stagioni dell’anno con il misticismo e la preghiera regolando anche le attività legate al necessario fabbisogno umano. In grande umiltà, l’uomo aveva cercato di imprigionare di nuovo il Tempo e il Cosmo in un solo edifico, questa volta un monastero. Ma prima che nell’architettura, il Cosmo e il Tempo arano già stati racchiusi nel medesimo progetto divino: la redenzione. La vita nella comunità monacale aveva quale fine proprio quello della redenzione, che sarebbe avvenuta nell’aldilà alla fine dei tempi, un aldilà che coincideva con il Cosmo così come era stato scritto nelle Sacre Scritture. Nel credo Cristiano, il figlio di Dio “é salito al cielo”, e come Ramsete II, “siede alla destra del Padre” […] “e il suo Regno non avrà fine”. Tempo e Cosmo, risultavano ancora presenti come in tutti i primi culti monoteisti ed in quelli pagani.
Nel medioevo, anche le menti più illuminate, riconducevano la creazione del Cosmo, alla volontà divina, escludendola dalla discussione filosofica e teologica in quanto appartenente alla fede. Oggetti del creato, Tempo e Cosmo non erano eterni e come tutta l’opera divina, potevano essere indagati, solo la loro origine era lasciata alla fede. Tommaso D’Aquino ci ha privato della sua interpretazione logica sulla natura dell’universo, S. Agostino ci aveva, invece, lasciato incantati da una delle migliori definizioni di Tempo:
« Che cos’è dunque il tempo? Quando nessuno me lo chiede, lo so; ma se qualcuno me lo chiede e voglio spiegarglielo, non lo so. Tuttavia affermo con sicurezza di sapere che, se nulla passasse, non vi sarebbe un tempo passato; se nulla si approssimasse non vi sarebbe un tempo futuro se non vi fosse nulla, non vi sarebbe il tempo presente. Ma di quei due tempi, passato e futuro, che senso ha dire che esistono, se il passato non è più e il futuro non è ancora? E in quanto al presente, se fosse sempre presente e non si trasformasse nel passato, non sarebbe tempo, ma eternità… Questo però è chiaro ed evidente: tre sono i tempi, il passato, il presente, il futuro; ma forse si potrebbe propriamente dire: tre sono i tempi, il presente del passato, il presente del presente, il presente del futuro. Infatti questi tre tempi sono in qualche modo nell’animo, né vedo che abbiano altrove realtà: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione diretta, il presente del futuro l’attesa… Il tempo non mi pare dunque altro che una estensione (distensio), e sarebbe strano che non fosse estensione dell’animo stesso. »
Dare un ordine alle cose trascendenti, così come dare un ordine alle esigenze immanenti è stato, per secoli, una costante della cultura post neolitica. In effetti, fino a quando non si iniziò a diffondere il culto dei morti, a cui veniva garantita una nuova vita in un mondo parallelo, non esisteva luogo sulla terra che fosse sacro o che venisse considerato tale. La terra divento sacra quando iniziò a conservare i resti degli antenati. Gli spiriti, nel contempo aleggiavano nel Cosmo. Dolmen, eretti verso il cielo per indicare il “luogo” nella terra in cui erano seppelliti i morti. Il Cosmo era lo spazio in cui sarebbero vissuti in eterno, a prescindere del tipo di sepoltura utilizzata: tumulazione, fossa o cremazione. Ai redenti era riservato, per l’eternità, ciò che nel mondo terreno era solo desiderabile, come l’Ásgarð che nella tradizione vichinga era il luogo dove era stato costruito il Valhalla, la sala dei “morti in guerra”: un enorme costruzione con 550 porte, le mura fatte delle lance dei guerrieri più valorosi e un tetto ricoperto di scudi d’oro, oppure, più semplicemente, le immense praterie per i cacciatori indigeni nord americani.
Il Paradiso per i cristiani, il Valhalla, per i vichinghi, ogni culto aveva il suo spazio non fisico, spirituale, spesso coincidente con il cielo e affinché questa nuova vita fosse compiutamente vissuta, doveva essere eterna.
Una volta radicato il mito, il culto o la tradizione, andava costruito un accesso al cielo, per attraversarlo era necessario la purificazione della corpo. La cremazione nei casi estremi, la mummificazione o tumulazione, più frequentemente utilizzata nelle tradizioni arcaiche. L”accesso all’aldilà richiedeva riti e cerimonie ad opera di sacerdoti specializzati. Il rango sociale del defunto era rappresentato dalla quantità e qualità degli oggetti che avrebbero portato con se nel viaggio ultraterreno, passando da semplici oggetti (oli, elmi, spade) ad interi tesori, come quello di Tutankamon.
Nelle necropoli etrusche o in quelle presenti nelle isole egee, vere e proprie città, le tombe erano spesso a pianta circolare (come gli astri) a forma di tumulo. Vi si accedeva percorrendo un corridoio in fondo al quale una porta conduceva ai locali interni. L’ipogeo, dipinto su tutte le pareti da scene di vita o da simboli rappresentanti iniziazioni al culto, era destinato ai soli defunti che venivano posti su veri e propri letti destinati ad un riposo eterno, senza tempo, come eterno sarebbe stato il loro sorriso scolpito sui sarcofagi, come quello ritrovato nella necropoli etrusca di Cerveteri.
Nella tradizione cristiana avvenne ciò che in molte culture religiose era solo teorizzato: dopo la morte e la sepoltura, seguita dal rito della purificazione del corpo, il Cristo risorse e ascese al cielo per il godimento di una vita eterna. La certezza di tale evento per i credenti è rappresentato dall’assenza del corpo del Cristo nella sua tomba. Una assenza che giustificava sia la resurrezione che l’ascesa. La particolarità sta nel fatto che il culto inizia con il compiersi dell’evento, e non nella promessa che ciò avvenga. L’architettura cristiana, alle sue origini, porta con se un elemento di novità, oltre alle in varianti simboliche comuni ad altri culti. Prima nelle catacombe, poi nelle prime basiliche paleocristiane, il racconto dell’evento, necessitava di un nuovo spazio destinato ai credenti. Il sacerdote officiava rivolto all’altare ripercorrendo tutte le tappe di ciò che era accaduto, alle sue spalle l’assemblea dei fedeli occupava la navata centrale raccolto in preghiera. A differenza degli altari pagani sui quali avvenivano sacrifici animali per placare le ire del Dio o semplicemente come funzione propiziatoria, nel culto cristiano, l'”evento” aveva cristallizzato il Tempo, ed andava ripetuto in eterno.
Comprendere il significato e i valori simbolici che rappresentavano il Cosmo e il Tempo (entrambi infiniti) nella tradizione religiosa presenti in tutte le culture arcaiche e perpetratasi fino ai giorni nostri è comprendere le invariati delle costruzioni destinate al culto o comunque sacre.
Concludendo, é interessante sottolineare, lontani da giudizi teologici, che le invariati restavano tali anche nella rappresentazione del potere politico che nei secoli successivi sostituì quello religioso, nei simboli e nell’uso delle sue rappresentazioni architettoniche. Alla pari delle cattedrali venivano costruite regge e palazzi pubblici. Questi raccolsero tutte le invarianti simboliche, architettoniche e spaziali degli edifici religiosi, compreso l’uso simbolico del controllo del Cosmo e del Tempo. Come, quando è perché avvenne può essere sintetizzato nell’utilizzo del “globo crucigero”, la rappresentazione del dominio di Cristo sull’universo, Questo globo, nell’iconografia medievale, ripresa fino ai giorni nostri, è contenuto nella mano dell’imperatore e ne rappresentava il potere terreno. Eternità e infinito erano il luogo dello spirito, racchiuderli e dominarli, la necessità del mito, della tradizione e del potere.



