Come milioni di anni fa

Immaginate una spiaggia immensa come il deserto. Immaginate di prendere un secchiello e riempirlo con un po di quella sabbia. Adesso avete la consapevolezza di quanto conosciamo del nostro universo; nel secchiello appena riempito ci sono le costellazioni, i pianeti, le stelle, le galassie, le comete e gli asteroidi che oggi conosciamo e di cui abbiamo informazioni, anche se approssimative, poco più del nome che gli abbiamo dato noi. Immaginate, adesso, un granello di sabbia appartenente alla spiaggia, potrebbe essere una stella un pianeta, una cometa.

Questo corpo celeste, di cui non sappiamo nulla e nulla sapremo mai, in un tempo remoto è esploso forse scontrandosi contro un altro attratto da una stella o colpito da una cometa, non lo sapremo mai.

Lontanissimo da noi, migliaia, forse milioni di anni luce una catastrofe ha dato vita ad un piccolo frammento che staccandosi dal suo corpo celeste ha iniziato a vagare nel nulla, diretto inconsapevolmente verso di noi attraversando centinaia, migliaia, milioni, miliardi di chilometri di spazio vuoto, tra una costellazione ed un altra, diretto a noi. Con un diametro di appena 15 metri ma veloce, tanto veloce, sessantacinque mila km/h. Più veloce di qualsiasi oggetto creato dall’uomo, ha percorso il suo cammino nel vuoto. Ha impiegato tanto, un tempo che per noi corrisponderebbe al tempo trascorso dall’inizio della vita sulla terra ad oggi, eppure quel piccolo frammento era già in viaggio verso di noi.

ImmagineCi siamo illusi di essere potenti e quindi protetti: sappiamo volare, siamo andati sulla luna, abbiamo inviato un piccolo robot sul pianeta a noi più vocino a fare delle foto. Abbiamo telescopi sulla terra e telescopi orbitali nello spazio, crediamo di vedere tutto ciò che avviene intorno a noi e lontano da noi ed infatti stavamo osservando un piccolo asteroide che si stava avvicinando. Poco più grande del precedente lo osserviamo da tempo, temendolo perché un eventuale collisione sarebbe stata la nostra catastrofe. Era già successo, anche se l’uomo non se lo ricorda: un asteroide aveva, precipitando sulla terra, provocato l’estinzione del 75% delle specie viventi, i fossili dei dinosauri ritrovati ne hanno riportato in vita la memoria.

Il nostro piccolo meteorite nella più completa indifferenza ha terminato il suo viaggio il 15 dicembre del 2003 disintegrandosi prima dell’impatto con il suolo. La NASA ha dichiarato l’imprevedibilità del fenomeno: non aveva un orbita conosciuta, (era fuori dal secchiello) e non poteva essere individuato visto la sua enorme velocità e le sue piccole dimensioni.

Non eravamo pronti, ci ha colpito a freddo, quasi a tradimento, eppure lo ha fatto. Il primo commento del premier Russo è stato: “questo dimostra la vulnerabilità del nostro pianeta”. Bella scoperta. Non sono stati i radar, non sono stati i missili, non sono stati gli aerei cacciabombardieri e neanche le più potenti armi nucleari dei nostri sistemi di difesa ad impedire lo schianto al suolo. Incredibilmente è stato qualcosa che nessuno di noi considera, nonostante sia vitale per tutti, ad impedire la catastrofe. Qualcosa che bistrattiamo, inquiniamo, utilizziamo con enorme superficialità ogni giorno ogni attimo della nostra vita. Quel qualcosa che il 15 febbraio 2013 ha impedito che facessimo la fine dei dinosauri i pagani avrebbero chiamato dio, noi chiamiamo semplicemente “aria”. Già l’aria, quella che respiriamo ogni giorno rende la terra unica ed è per questo che la sua superficie non è come quella della Luna o di Marte piena di crateri e soprattutto invivibile. Adesso, scampato il pericolo, tutti noi possiamo tirare, è il caso di dirlo, un sospiro di sollievo.

L’aria ne sarà contenta

La Terra dei Fuochi

Oltre mille anni fa, quella che oggi chiamano “Terra dei fuochi”, per via dei perenni roghi tossici che quotidianamente inquinano di diossine l’aria e la terra, prendeva il nome di “Liburia” poi trasformato in “Terra di Lavoro”.

Il nome Liburia, secondo alcuni è pre latino, restando in uso fino al tardo medioevo. Qui Spartaco organizzò la sua rivolta, qui i normanni crearono il loro primo insediamento, qui i Borboni costruirono la più maestosa reggia d’Europa.

Sul toponimo “Terra di lavoro” diremo poco, perché poco resta da dire di un luogo chiamato Terra Laboris in Campania Felix. Terra di lavoro in Campania felice; oggi in Campania non sono ne felici e non c’è neanche lavoro.

Di Liburia diremo, invece, che intorno all’anno mille un monaco ci lasciò questo scritto che ci da l’idea di chi fosse ad amministrare quelle terre: “[…] E quando piacerà a Dio e quei maledetti normanni se ne andranno dalla Liburia, sicché potremo recuperare le terre della Liburia, allora dovrò dare alla ricordata chiesa 15 soldi d’oro e prendere quindi le terre, le case e ogni cosa del genere…“. Questo atto pubblico di affidamento di una chiesa da parte di tale Stefano “umile prete soprannominato Franco” del 2 maggio 1042 è una chiara testimonianza dell’area che tirava. Dei normanni scriveremo, certo che scriveremo, per adesso ci limiteremo a raccontarvi solo una storia.

La Terra dei fuochi è chiamata così per via dei ripetuti roghi tossici che quotidianamente vengono accesi nell’indifferenza, prima della popolazione, poi delle amministrazioni locali e per ultima delle istituzioni regionali e nazionali. Non è un caso che un ministro della sanità, di cui non menzioneremo il nome per humanitas, ad una interrogazione parlamentare rispose senza mezzi termini che non c’era nessun nesso tra causa ed effetto che possa creare una correlazione tra le diossine presenti nell’aria e l’aumento delle diagnosi di tumori nelle popolazioni interessate. Alla humanitas nel non scriverne il nome non corrisponde la stessa humanitas nel rispondere ad una legittima richiesta di intervento, di giustizia, di aiuto. La stessa humanitas che non avevano i normanni durante la loro presenza in Liburia. Un cronista ci racconta di una vicenda che a nostro giudizio rappresenta l’inizio della nostra storia, una storia che dura da millenni.

I normanni erano già da tempo in Liburia, da tempo la dominavano, da tempo la amministravano. Con la Liburia, il resto del Sud era nelle mani di Ruggiero II che secondo la cronaca del tempo, scritta da Alessandro di Telese, regnava così nei suoi territori …:

Quando poi il re, irrompendo ad Aversa, seppe che il conte aveva preso la fuga, molto si dolse […] ed arse di tale furore nell’animo che tutta la città fu prima completamente saccheggiata e poi data alle fiamme.

[…] Quando dunque Aversa fu così distrutta, il re ordinò ancora di incendiare i sobborghi. Poi avvicinandosi a Napoli pose il campo tra il castello detto Cuculo e il lago Patria, e si trattenne colà fintanto che le fiamme non distrussero tutti i sobborghi di Napoli da quella parte e i raccolti non furono tutti saccheggiati dai foraggieri della sua spedizione. […] quando tutto colà fu distrutto, il re tornò ancora una volta ad Aversa a devastare, e ordinò con maggior puntiglio che se tra Napoli e Aversa era rimasto incombusto qualcosa che poteva prendere fuoco, fosse senz’altro bruciato. Dimorò in quei paraggi fino a che consumate tutte le culture che erano sopravvissute, la superficie della terra non fu lasciata completamente deserta”.

Nel 1135 la Liburia iniziò ad ardere per mano del furore dei suoi regnanti, oggi continua ad ardere per mano dell’indifferenza dei suoi amministratori..

Immagine

I limiti dello sviluppo – The Limits to Growth

Non dovrebbe esistere politico, tecnico, amministratore che possa definirsi tale senza che abbia letto il “Rapporto sui limiti dello sviluppo”(The Limits to Growth). Non dovrebbe esistere perché se è vero che milioni di persone si sono interessate al calendario Maya è anche vero che 12 milioni di persone hanno letto il Rapporto in tutto il mondo.

Nel 1972 un gruppo di allora giovani ricercatori del MIT di Boston pubblicò un rapporto basato su studi, ricerche, statistiche, bla, bla, bal, che attraverso delle previsioni avrebbe previsto il collasso del sistema intorno al 2030. Nel 2004 il rapporto venne aggiornato e quello che meravigliò il mondo fu che le previsioni di 40 anni prima erano risultate esatte. Per rendere semplice cose che per loro natura sono complesse dovremmo sintetizzare i risultati del rapporto in modo da chiarire e chiarirci le idee.
Secondo Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jorgen Randers e William W. Behrens III, autori del rapporto, gli indicatori dello sviluppo erano: la popolazione mondiale, le risorse non rinnovabili, la produzione industriale, l’inquinamento, la produzione alimentare. Dovrebbe essere facile ai più comprendere che se aumenta la popolazione mondiale deve aumentare anche la produzione alimentare. All’aumento della produzione industriale corrisponde la diminuzione delle risorse non rinnovabili e l’aumento dell’inquinamento. All’aumento della popolazione, della produzione e dell’inquinamento corrisponde la diminuzione di suolo per la produzione alimentare e così via. A queste variabili se ne aggiungono altre più complesse ma che permettono la creazione di diversi scenari possibili.
Dal più catastrofico al più ottimistico, tutti gli scenari stabilivano che intorno al 2030 ci sarebbe stato un collasso.
E’ inutile dire che il rapporto venne accolto dal mondo economico ed industriale come la solita propaganda ambientalista anticapitalistica.L’indifferenza del mondo politico e deconomico servì nel tempo solo a confermare nei successivi 30 anni le previsioni fatte dal rapporto.
L’inerzia confermò la previsione. Nella riformulazione del rapporto del 1993 e del 2004 i dai reali coincidevano con le previsioni statistiche. Per chiunque, a questo punto, sarebbe facile presupporre che nel 2030 si assisterà realmente al collasso.

Questo decennio è iniziato con una crisi globale che ha portato la recessione nel mondo occidentale ed uno sviluppo industriale impensabile in paesi che erano ritenuti se non poveri arretrati. La maggioranza della popolazione mondiale è concentrata in India e Cina dove concentrate sono le produzioni industriali, concentrato è l’inquinamento, concentrate sono le necessità di alimentazione. La crescita, sia demografica che industriale, ha raggiunto valori pari a zero in gran parte dell’Europa. Lo scenario è potenzialmente catastrofico se non fosse per l’imprevedibilità reale dei mercati finanziari e le grandi migrazioni del Nord Africa verso l’Europa.
La parola d’ordine dei governi è la riduzione dello spreco, delle spese ed ovviamente dei servizi. Ridurre i consumi, utilizzare risorse rinnovabili e soprattutto cambiare gli stili di vita sono, ormai, le uniche cose da fare. Bravi. Dopo aver denigrato il rapporto e negato per ben due volte l’evidenza oggi ci dicono, anzi ci impongono, di rivedere ciò che auspicavamo essere il nostro futuro. Ma mentre lo fanno, giorno per giorno, restano ben attenti a tutelare i loro privilegi, i loro interessi, le loro prerogative. Con la scusa di sostenere la popolazione Libica inscenano una guerra non dichiarata all’esercito regolare con il solo fine di mantenere il controllo della produzione del greggio. Nel conflitto interviene anche l’Italia, l’intervento è definito con scopo umanitario ma nei talk show i politici e commentatori parlano apertamente di un interesse strategico per conservare i contratti commerciali per l’estrazione del petrolio. La Francia di Sarkozy, membro della Nato e dell’ONU, inizia  i bombardamenti prima di ogni altro atto, documento o risoluzione, prodotto dalle due organizzazioni, che saranno delle sanatorie a ciò che si compiva. Liberté, Egalité, Fraternité è scritto in ogni edificio pubblico francese, in ogni ambasciata, in ogni tribunale, come il cristo in croce in ogni edificio pubblico italiano. Eppure chi occupa le scrivanie seduto sulle sedie al di sotto di queste icone, forse proprio perché le ha alle spalle, le ignora.
“I limiti dello sviluppo” non sono leggende metropolitane o propaganda ambientalista, anche se si prestano ad esserlo, ma calcoli statistici spesso di una banalità sconcertante che ci pongono di fronte ad un bivio: essere o non essere consapevoli di ciò che ci aspetta, di ciò che stiamo facendo.
Il nostro compito è quello di ricordare che spesso ciò che appare essere improbabile è destinato ad essere certo;
Il nostro destino é compiuto. Contrariamente a quando avveniva in passato non è una Sibilla a predircelo ma un gruppo di ricercatori che, a differenza del passato, cercano nella scienze sociali ed economiche le risposte di come sarà il futuro dell’umanità

La fine del Mondo

I Maya hanno avuto torto, la fine del mondo secondo gli scienziati (così li chiamano) è stata posticipata di cinque miliardi di anni, chi potrà mai contraddirli.

Pensare che il mondo un giorno avesse una fine è un archetipo che è presente in molti culti e religioni. “L’apocalisse è vicina!” gridavano i monaci alla fine del millennio scorso, ma vicina quanto? Secondo gli ultimi studi fra cinque miliardi di anni il Sole si espanderà inghiottendo in sequenza Mercurio, Venere, la Terra e anche Marte. che saranno polverizzati. La notizia ci dovrebbe spaventare? e perché?

Centomila anni fa, si calcola, sulla terra esistevano circa 1.000 abitanti. Nell’anno della nascita di Cristo gli abitanti erano circa 200 milioni, oggi ne siamo, secondo alcuni, 7 miliardi, fra 40 anni dovremmo essere 9 miliardi. Le proiezioni si basano su modelli statistici complessi ma la tendenza è l’aumento. Secondo alcuni matematici dovremmo assestarci intorno ai 10 miliardi fino al 2300 d. C.. Il problema è che prima che il Sole inghiotti la Terra lo avremo già fatto noi da molto, molto tempo. Procediamo per gradi.

Acqua. Il fabbisogno giornaliero di acqua potabile per bere e mangiare, per noi occidentali si intende, e di circa 7lt che diventerebbero 49 miliardi di lt. al giorno 343 miliardi di lt alla settimana. 17.885 miliardi di litri all’anno.  L’acqua dolce esistente sulla terra è circa 93 miliardi di litri. Se la matematica non è un opinione in 2 giorni finirebbe.

Pane. Per fare 1 Kg di farina occorrerebbero 20mq di terreno, per 1 kg di pane occorre 1kg di farina e 1/2 lt di acqua (ma questa e già finita), per sfamare con 1 kg di pane al giorno gli abitanti della terra ci vorrebbero 20 milioni di ettari di terreno. Per sfamare la popolazione dovremmo piantare il grano nel Sahara, la cui produzione basterebbe per 4 giorni, ma il Sahara andrebbe annaffiato quindi ci occorrerebbe altra acqua dolce che abbiamo bevuto nei primi 2 giorni.

Carne. Per mangiare 1 Kg di carne al mese avremmo bisogno di 10 miliardi di kg di carne, 20 milioni di vitelli al mese.I vitelli bevono fino a 50 Lt di acqua al giorno ma l’acqua è già finita.

Se volessimo vivere con un pezzo di pane al giorno, 1 kg di carne al mese e l’acqua necessaria non sopravviveremmo molto. Le risorse non sono sufficienti per tutti ed è per questo che esistono i paesi poveri ed è per questo che continueranno ad esistere.

La fine del mondo è lontana, la nostra è vicina.

Esiste una teoria: la teoria della catastrofe di Toba. La teoria è stata proposta nel 1998 da Stanley H. Ambrose, secondo cui 70.000 anni fa la popolazione umana, allora esistente sulla terra, venne radicalmente ridotta a circa un migliaio di individui a causa di una catastrofe naturale: l’esplosione di un super vulcano al di sotto del lago di Toba. Una catastrofe di dimensioni bibliche (chi sa perché si dice così) che produsse dei mutamenti climatici tali da creare un ambiente invivibile per molte specie viventi tra cui l’uomo. Ai sopravvissuti si fanno risalire Adamo ed Eva. Come? Gli studiosi lo spiegano con un metaforico processo detto “collo di bottiglia”. In questo collo passarono pochi gruppi genetici che ripopolarono la terra, individuati tramite il famigerato cromosoma Y, meno conosciuto come Aplogruppo I. Un migliaio di uomini salvò la specie umana, sopravvivendo, lottando per le poche risorse  alimentari disponibili, la poca acqua potabile, iniziò per la seconda volta il cammino dell’umanità. Tra qualche anno, l’esplosione demografica mondiale ci costringerà a lottare con la stessa veemenza, lo stesso egoismo, la stessa fame di sopravvivenza.

A questa catastrofe non sopravviveremo.

Pane e veleno

Enzo Turco in un mitico film del 1953 si lamentava: “in questa casa mangiamo pane e veleno'” e Totò precisava: “Pascà, veleno, solo veleno!”.
Sono ormai passati quasi sessant’anni ma più che mai il dibattito si sta acuendo: pane e veleno! Come sempre accade in questi casi l’evento di cronaca ci ispira ma non ci intriga. Se ne parlerà per un estate ma poi inizierà a retrocedere cedendo il posto a notizie fresche, stupide, inutili ma fresche: è la legge dei media.
Se sia giusto che si debba mettere su una bilancia il pane e il veleno è la questione che intendiamo dibattere.
Iniziamo subito col dire i fatti e poiché la cronaca non ci interessa faremo solo riferimenti e non citazioni.
Una società produce un prodotto, ha degli utili dalla sua vendita. Per produrre questo prodotto ha bisogno di materie prime, macchinari e personale che li sappia usare. La società ha il suo stabilimento in una città, la maggior parte del personale proviene o è andata a vivere in questa città. Fino a qui tutto normale. In questa città la gente si ammala più delle altre città e dopo molti anni i giudici dicono che lo stabilimento è la causa che fa star male la gente che vive in questa città, uccidendola. Anche se la storia si fa antipatica, ruvida, si riesce a comprendere ancora il senso. Secondo voi come dovrebbe finire la storia?
Lo stabilimento viene chiuso; B) Lo stabilimento viene dislocato in un posto dove non può arrecare danno; C) Lo stabilimento viene riconvertito e reso innocuo alle persone che abitano la città.
Se fosse un test a risposte multiple, troveremo la risposta nelle tre opzioni ma non è così purtroppo, non può essere così.
Le cose, come la cronaca ci riporta,, si sono complicate così tanto da far schierare Caino contro Abele, gli Orazi contro i Curazi, ancora una volta, i Guelfi contro i Ghibellini, costringendo a schierarsi con gli uni o con gli altri come se si potesse, come se si dovesse.
Pane e Veleno è la scelta, o tutto e due o niente. Come se potesse essere una scelta. Vuoi mangiare? Il Pane è avvelenato, l’acqua anche e pure l’aria ma è l’unica cosa che posso offrirti. Che bella pensata! Al prossimo barbone che incontriamo gli diamo una capsula di cianuro, è poco ma è meglio di niente. Ciò che fa rabbrividire è il dibattito che si è aperto, le contestazioni, gli imbarazzi, gli stessi di cui abbiamo già scritto.
La questione si è complicata perché é entrata in gioco una parola di cui tutti conosciamo il significato ma spesso non ne comprendiamo il senso: lavoro. Già il lavoro. Nei millenni l’uomo ha specializzato sempre più il proprio lavoro, dalla caccia e la pesca all’agricoltura poi l’artigianato e alla fine del settecento iniziò la trasformazione del proletariato in classe operaia con l’apertura delle prime industrie. Nell’ottocento la consapevolezza di essere classe sociale trasformò il lavoro da necessità in diritto.
Per tutto il novecento il lavoro divenne, appunto, diritto in tutta l’Europa Occidentale, una schiavitù in quella Orientale. Già, come se lavorare potesse essere sempre un valore. Arbeit macht frei (il lavoro rende liberi) scrivevano i nazisti all’ingresso dei campi di concentramento. Come per dire se lavorerete, dimenticherete che siete qui per morire. Ci crederete?, gli ebrei lavoravano. Lavoravano raccogliendo i cadaveri dei loro compagni dalle docce, lavoravano selezionando tutto ciò che poteva essere selezionato dagli indumenti dei nuovi arrivati e addirittura lavoravano scavando le fosse comuni dove poco dopo sarebbero stati sepolti.
Mi sono sempre chiesto perché se uno punta un fucile addosso ad un altro e gli ordina di scavare una fossa, questi inizia subito a farlo. Se gli chiede di inginocchiarsi, pure. Forse è nella la natura umana, la speranza che qualcosa possa accadere, che modifichi la situazione, che prevalga il senso di pietà.
Oggi un gruppo di industriali chiede a degli operai di mangiare pane e veleno, questi lo fanno, e lottano per continuare a farlo, si scavano la fossa, ma credono, sperano, che qualcosa possa cambiare. La speranza è sempre l’ultima a morire ma morirà anche quella avvelenata. Così sei milioni di ebrei morirono, nella speranza che l’uomo cambiasse, nella speranza di sopravvivere, pochi in effetti ci riuscirono ma a che prezzo… Oggi un’intera città rischia di essere avvelenata, è il prezzo che deve pagare per non perdere i posti di lavoro, nella speranza che quegli uomini facciano qualcosa. Qualcosa in questi anni lo hanno fatto: hanno pagato i media perché tacessero, i periti perché alterassero i risultati, i politici perché non intervenissero, tutti. Ma la conclusione della nostra storia è già scritta anche se non è ancora accaduta. Da qui a poco accadrà qualcosa, e come disse Totò: “Pascà, già te l’ho detto: qua si mangia solo veleno!”.

20120815-122236.jpg

Breve storia della nascita dell’Homo Sapiens

.
Prima o poi sarebbe successo. Ci siamo trattenuti fino a quando abbiamo potuto ma poi sapevamo che sarebbe successo. C’é un argomento di cui siamo stati sempre titubanti nel parlare, per sua natura ostico. Ci riferiamo alla diffusione sulla terra dell’Homo Sapiens.
Gli studi fatti dagli antropologi hanno sempre stimolato la nostra curiosità. Le conclusioni ai quali sono giunti, invece, hanno spesso provocato in noi qualche dubbio su come consciamente avessero omesso qualcosa. Quel qualcosa che manca é forse la cruda verità della natura predatrice che vive in ognuno di noi.
Cominciamo dall’inizio ma proprio l’inizio.
Secondo la maggior parte degli studiosi 300mila anni fa la specie di ominide che era sopravvissuta in numero sufficiente tra tutte le avversità climatiche era l’Homo di Neandertal: basso, rozzo, naso grosso, leggermente incurvato nelle spalle, particolarmente resistente e forte. Quell’uomo, se così possiamo chiamarlo, usava il fuoco ma non sapeva accenderlo e in tutto il periodo della sua esistenza, 250mila anni, gli unici oggetti che é riuscito a creare sono state delle asce di selce con le quali si procurava da mangiare. Non sapeva coltivare, viveva in piccoli gruppi organizzati in Clan ed era nomade, si spostava da una parte all’altra in cerca di cibo e climi più miti. La lunga esistenza dell’Homo di Neandertal é stata una vera e propria avventura fatta da uomini che con pochi mezzi sono riusciti a vivere, sopravvivere, a modo loro evolversi. Se si escludono poco oggetti, di loro non ci sono particolari tracce se non le loro ossa fossilizzate; altro che ecologisti, altro che ambientalisti.
150mila anni fa accadde qualcosa che segno l’inizio della scomparsa di questo ominide: nel centro del continente africano una nuova specie di ominide iniziò la sua inarrestabile crescita ed invasione del pianeta. Aveva origini comuni ai Neandertal ma contrariamente a quanto si pensi non discendeva da essi. Questo ominide in pochi millenni riuscì a mettere a frutto tutte le sue capacità: imparò ad accendere il fuoco, si organizzava in tribù, seppelliva i propri morti, cacciava selvaggina, iniziò anche ad allevare animali ma soprattutto sapeva che, aspettando, i semi sarebbero diventati piante e con queste poteva nutrirsi. Prima nomade, poi stanziale, si estese dal continente africano, a quello asiatico, aumentando sempre di più in numero e perché no, in forze. I nostri Neandertal continuavano a vivere in piccoli gruppi, spostandosi da un posto all’altro: dal nord Europa, alla Germania, poi alla Spagna fino ad arrivare allo stretto di Gibilterra. Qui la nostra storia finisce, qui sono state trovate le ultime tracce dei Neandertal: l’ultimo fuoco, l’ultimo pasto, l’ultimo teschio.
Tutti i testi riportano questi eventi con sfumature più o mene diverse, con riferimenti e date più o meno simili ma la sostanza é più o meno questa: l’uomo di Neandertal é nato in Asia, ha vissuto per 250mila anni, e senza quasi salutare, é andato via, estinto.
Molti testi ipotizzano le cause dell’estinzione dei Neandertal: mutamenti climatici, scarsità di cibo e così via. Alcuni, timidamente si spingono oltre, oltre ciò che possa essere dimostrato, oltre ciò che possa essere condiviso dal mondo accademico. Quando si parla tra cattedratici, infatti, le tesi vanno dimostrate. Darwin, teorizzando il processo dell’evoluzione, anche se non va per il sottile, gira a largo, parla di uccelli, insetti, piante, e ci dice che se in un luogo convivono due specie simili una, prima o poi, prevale sull’altra provocandone l’estinzione. La specie più forte, quella che riesce ad adattarsi all’ambiente circostante sopravvive, si evolve, l’altra si estingue. È la legge della natura, è la legge della sopravvivenza, é la legge dell’evoluzione. Di fronte a questo gli studiosi si fermano, si bloccano, prendono per data la fatalità, girano pagina e vanno al capitolo successivo: “Nascita e sviluppo dell’Homo Sapiens”. Possiamo noi accontentarci? Possiamo noi dare tutto per scontato? Tutto per già detto? Certo che no!
Quando i Sapiens iniziarono il loro cammino, i Neandertal si erano stabilizzati tra il Belgio e la Francia. 150mila anni fa, in pochi millenni, dall’Africa i Sapiens non si erano spostati in Asia ma si erano estesi in Asia e in Europa. Dal nord Africa all’Europa il passaggio fu breve fino a giungere in Germania. I Neandertal si spostarono nel frattempo in Spagna. Una volta attraversata la Francia dai Sapiens, una catena montuosa divideva le due specie: i Pirenei. Da li il passo fu breve. Si incontrarono? Prove non ce ne sono, solo ipotesi. Come le nostre. Si sa solo che l’ultimo posto che abitarono i Neandertal fu anche l’ultimo posto da occupare sulla terra dai Sapiens. Coincidenza? Crediamo di no. Secondo alcuni studiosi la sostanziale differenza fra le due specie è che i Sapiens erano dotati di una capacità sconosciuta ai Neandertal: l’immaginazione. Sfruttando questa capacità erano riusciti a capire che per attraversare un deserto bisognasse avere sufficiente scorte di acqua come sufficiente era portarsi dei semi di una pianta per coltivarla in posti in cui potesse mancare. La struttura delle tribù garantiva l’ordine, evitando scontri tra individui facinorosi. I ruoli nel sistema sociale erano prestabiliti dalla tradizione. La specializzazione del lavoro, anche se rudimentale, esisteva e veniva tramandata alle generazioni successive. All’occorrenza, tutta la tribù poteva contare sui suoi membri per difendersi o eventualmente per attaccare altre tribù; tipico dei Sapiens.
La struttura sociale dei Neandertal era diversa. Il clan non ha tradizioni, non ha totem, non ha tabù, si eseguono gli ordini del capo che viene eletto tra i più forti, anzi il più forte è il capo, gli altri si aggregano, se hanno l’occasione lo sostituiscono senza guardare all’etichetta o il cerimoniale: un colpo nel sonno non é un atto di codardia ma l’occasione giusta.
Si sono incontrate le due specie? Noi crediamo di si. Cosa sia successo possiamo solo immaginarlo, del resto siamo anche noi Sapiens. Abbiamo, però scelto di fornire due versioni lasciando la scelta tra quale possa essere la più attendibile.
Prima versione.
Mentre una piccola comunità di Sapiens andava in esplorazione per insediare una nuova colonia, sono stati aggrediti in un imboscata da un numeroso gruppo di Neandertal. Più bassi ma più resistenti oltre che più forti, i Neandertal hanno avuto la meglio, uccidendo anche le donne e i bambini. Gli uomini si sono difesi eroicamente fino all’ultimo ma solo uno é riuscito a scappare quasi incolume per giungere alla sua tribù ad avvisare i compagni con un filo di vita del pericolo che correvano. I Sapiens riuniscono il consiglio e decidono che bisogna “difendersi”. Chiamano a raccolta tutti gli uomini forti delle altre tribù e organizzano la battaglia. Con l’astuzia di alcuni e l’ingegno di altri i Neandertal vengono sconfitti e per i Sapiens quelle terre prima inospitali diventano la nuova terra da fecondare e crescere. Vi ricorda niente?
Seconda versione.
Anche se c’é terra in abbondanza un gruppo di Sapiens che non riesce ad avere la meglio sulla casta dominante decide di cercare altra terra, non per necessità ma per avere una terra da governare. Durante il loro cammino incontra una famiglia di Neandertal, stanchi del viaggio ma soprattutto affamati li aggrediscono li inseguono e li uccidono uno ad uno, depredano tutto ciò che trovano nel loro rifugio: una caverna. Decidono di accamparsi dentro per la notte, vi bivaccano e verso sera, sazi del bottino depredato, si accorgono che quegli strani esseri erano non molto diversi da loro. Era l’ultima famiglia di Neandertal le altre avevano avuto la stessa sorte, vivere in piccoli gruppi gli aveva permesso di sopravvivere all’era glaciale e difendersi dagli animali selvatici, questo tipo di società non era abbastanza forte per difendersi dai nuovi predatori che in meno di cinquemila anni avevano conquistato il mondo.
Non ci sono prove di ciò che si è detto e scritto ma se la storia ci ha insegnato qualcosa è che si è raccontata sempre la prima versione ma si è svolta sempre la seconda.
I Neandertal furono la prima specie ad estinguersi per l’avidità degli uomini, poi è toccato a numerose specie animali e vegetali ed anche a qualche razza umana.
150mila anni fa nacque sulla terra una nuova specie di predatore, gli antropologi lo chiamano Homo Sapiens, i religiosi Adamo, i contemporanei Uomo.

20120813-003440.jpg

Mille parole

Non credo di conoscere mille parole.
Forse mille Persone, forse mille pensieri, mille luoghi, ma mille parole proprio no.
Non so neanche se ne esistano mille di parole. Un po’ dipende dalla mia pigrizia nel contarle, dal mio  della lingua italiana, un po’ anche dal fatto che non mi sono posto il problema. Di sicuro so che ho più di mille libri, mille canzoni, mille film, il mio computer ha certamente più di mille files e certamente ricordo più di mille giornate a studiare, mille giornate a lavorare ma proprio mille parole no. So che esistono più di mille specie di piante, più di mille specie di uccelli, più di mille specie di insetti, questo lo so ma mille parole proprio no. La Bibbia ha più di mille pagine ma molte parole si ripeto spesso, se ce ne fosse una nuova in ogni pagina allora esisterebbero mille parole, ma non credo.
Poi mi é venuto in mente di cercare la risposta su google e mi sono sentito subito un ritardato mentale. Appena ho iniziato a scrivere: “quante parole…” subito e comparsa l’intera frase “quante parole contiene la lingua italiana” segno che non ero il primo a farsi questa domanda. Trovata la risposta é crollata immediatamente l’autostima per me stesso. Duecentocinquantamila. Si, duecentocinquantamila parole sono contenute nel più grande dizionario italiano, ma in quello Tedesco da trecentomila a cinquecentomila, mentre i francesi ne hanno poco più di centomila. Ciò che ci spaventa é il numero di parole che contiene il dizionario inglese: dalle seicentomila alle ottocentomila, secondo le edizioni. E io credevo che ne fossero qualche centinaio: non lo imparerò mai!
Avendo confessato la mia totale estraneità all’argomento posso, a questo punto, lanciarmi in qualche stupida riflessione, non aggiungerei nulla alla mia figuraccia. Da qualche tempo noto che ogni nuova parola che viene “coniata” – i vocaboli cominciano a scarseggiare- é inglese o ha un origine anglosassone. Una per tutte: Internet ma anche e-mail, post, tweett che diventano postare, tweettare; gli acronimi di Personal Computer (PC); per non parlare della parola “file”. Forse ci vorrebbe uno studio per sapere quante parole inglesi vengono usate comunemente nella lingua italiana, o in altre lingue, quante di queste esistevano già come Windows (finestra) e quante sono recenti come “Blog” di cui si può anche indicare la data esatta di nascita, 1997, quale contrazione di “Web – log” (diario di rete). anche se ad essere pignoli il traduttore di google mi dice che web é un sostantivo il cui significato può essere tela, ragnatela, tessuto, membrana ma non rete.e facendo la prova del nove, cercando la traduzione di rete in inglese diventa network, net, grid, system, goal, netting, snare, trap, ring, drag ma non web.
Anche i governi, i parlamenti e le stesse leggi, che dovrebbero essere l’espressione della purezza della lingua nazionale, usano comunicare con i propri cittadini usando termini come “spending review” o “governance”. Peggio quando cambiano il nome dei dicasteri come da Ministero del Lavoro a Ministero del Welfare, ma di questo se ne discute e se ne parla già in abbondanza, la cosa che a noi ci disturba e che qualche migliaio di anni fa esisteva una lingua ormai morta che parlavo alcuni popoli come gli italici, altri la temevano come i sassoni: il latino.
Oggi se gli italici sentono una frase anglosassone, pronunciata da un germanico come “spending review”, tremano.

L’odore del piombo

 

E’ successo!. Il colosso della vendita online di libri, Amazon, ha dato l’annuncio. Non sappiamo se la notizia abbia dei riscontri oggettivi o possa essere soltanto il risultato della politica commerciale voluta dall’azienda ma sta di fatto che per ogni 100 libri di carta venduti on line, 114 vengono scaricati per essere letti su dispositivi portatili quali e-book e naturalmente ipad.

La notizia non ci meraviglia ne ci sconvolge, da tempo pensiamo che si legge e si scrive più utilizzando un monitor e una tastiera che della carta e dell’inchiostro. Gli SMS ne sono stati i precursori, le lettere sono da tempo inviate per e-mail. L’utilità delle nuove tecnologie è fuori di dubbio maggiore degli strumenti tradizionali e tutto quando oggi, soprattutto nel mondo lavorativo, non venga fatto con l’ausilio di un Pc, è di sicuro obsoleto. Le stesse pagine che leggete sono il prodotto di questa innovazione.

Di una cosa però siamo certi: ci mancherà.

L’innovazione, l’efficienza, la praticità che riscontriamo nelle ricerche fatte negli archivi digitali sui testi disponibili sulla rete sono inimmaginabili a confronto di quelli cartacei, ma ci mancherà.

E’ inimmaginabile raggiungere con i mezzi tradizionali la velocità con la quale possiamo trovare le informazioni collegati da un Ipad alla rete, molte volte recandoci in giro per boschi o su spiagge assolate controlliamo le “tacche” di segnale: il nostro cordone ombelicale con il mondo.

La consapevolezza dell’impatto ambientale che ha la produzione della carta, ci angoscia.

La certezza della tossicità dei pigmenti di colore degli inchiostri, il fatto che questi siano cancerogeni ci terrorizza ma ci mancherà.

L’odore del piombo di un libro appena stampato di sicuro ci mancherà.

La storia siamo noi

Boris Vian

Scrisse nel 1954 una canzone “Le déserteu” dedicata al Presidente Francese che termina così:

“Se mi perseguirà
avverta i suoi gendarmi
che io non porto armi
e mi potran sparar.”

Che la storia venga scritta dai vincitori è certo, che questi la sappiano scrivere ci crea qualche dubbio.

In ogni epoca le trasformazioni sociali hanno provocato conflitti sociali. Conflitti che spesso si sono trasformati in guerre, occupazioni, ritorsioni. Ogni parte impegnata nel conflitto chiedeva ragione delle proprie tesi. Oggi si combatte per “esportare la democrazia” , ieri per impedire che il comunismo dilagasse, ieri l’altro si combatté contro il nazional socialismo e il fascismo, prima ancora per l’assassinio di un arciduca. Ancor prima l’Italia venne coinvolta in diversi conflitti per la sua unità e indipendenza,  e così via a procedere a ritroso fino a giungere a Romolo che uccise Remo per difendere un muro appena costruito. Ci credete?

Ogni battaglia ha i suoi vincitori, i suoi condottieri, i suoi eroi, di questi vengono scritti libri, biografie, lodi. Di questi ne rimane memoria nei secoli. In ogni esercitò però, in ogni battaglia c’è sempre qualcuno che prima di combattere inizia a pensare del perché farlo, del perché uccidere. Di questi non si è mai scritto, nessuno li ricorda anche se sono stati qualche volta determinanti.

Li chiamano disertori anche se continuano a combattere Questi uomini sono sempre dimenticati anche se sono stati gli unici che hanno voluto scegliere prima di agire.

From hell – lettera dall’inferno

Immagine

« Dall’inferno.

Mr Lusk,

Signore, vi mando metà del rene che ho preso da una donna l’ho onservato per voi l’altro pezzo l’ho fritto e l’ho mangiato era molto buono. Potrei mandarvi il coltello insanguinato con cui l’ho tolto se solo aspettate ancora un po’

firmato

Prendetemi se ci riuscite Signor Lusk »

Quando nella seconda metà dell’ottocento prese piede per le vie di Londra il terrore di incontrare Jack lo Squartatore già esistevano i mitomani.

Migliaia di lettere giunsero alla sede di Scotland Yard, tra queste solo alcune furono prese in considerazione.

Una in particolare ha attirato la nostra attenzione intitolata “from hell”.

Perché ci dovremmo occupare, anche se brevemente, di una vicenda “dark” dell’800?

Jack lo Squartatore è realmente esistito, o meglio uno o più uomini hanno compiuto quelle barbarie nelle vie di Londra, come uno o più uomini compirono altrettante barbarie nelle campagne intorno Firenze qualche decennio fa. Barbarie che spesso troviamo nelle pagine di cronaca, barbarie di cui  immaginiamo possiamo essere testimoni, barbarie che vediamo nei talkshow in prima serata: barbarie anche questa.

Questa lettera, contrariamente a quanto si possa pensare rappresenta a nostro giudizio l’antitesi della barbarie.

From hell, dall’inferno, è per noi la consapevolezza del proprio essere. Vi scrivo dall’inferno, non sono un Dio, non sono un superuomo, non sono un immortale: sono un dannato. Non sono il vostro inferno, ma vi scrivo dall’inferno. Non è lucida pazzia, non è schizofrenia, non siamo difronte a un dissociato, un esaltato, un maniaco ossessivo, siamo di fronte ad un uomo che ci scrive dall’inferno. Probabilmente è l’inferno della sua mente ma di sicuro si rende conto di scrivere da li.

Spesso ci capita di leggere lettere, pensieri, per ultimo post su social network. Molti sono addirittura georeferenziati dai dispositivi mobile sui quali vengono scritti,  si pubblica un post sulla propria bacheca di Facebook e ci compare il luogo di Google Map dal quale scriviamo.

Ciò che scriviamo però spesso non coincide con il vero luogo in cui siamo. Il luogo della nostra mente si intende. Jack lo sapeva: dall’inferno! “Sono già all’inferno prova a prendermi!”. Ecco il suo pensiero. lucido, chiaro.

Non sappiamo se il sig. Lusk l’abbia capito. Non sappiamo se il sig. Lusk abbia cercato di trovare Jack in qualche locanda malsana o nei salotti dell’alta borghesia londinese ma sappiamo sicuramente che lo cercò nel posto sbagliato.

Jack è morto come sicuramente morte sono le sue 11 vittime.

Di questa storia oggi rimane il mito, la leggenda che leggenda non è perché tutto ciò che si è scritto di Jack in queste pagine è realmente accaduto: un uomo un giorno iniziò a commettere azioni abominevoli, barbarie, quell’uomo non venne mai trovato, perché non si cercò nel posto giusto. Nonostante avesse scritto chiaramente dove si trovava nessuno andò a prenderlo.

Quell’uomo era all’inferno, l’inferno che è dentro ognuno di noi.