Nei primi anni novanta, allora ragazzo, andavo in giro per l’Europa, precisamente in Olanda, dove, in un escursione in bicicletta nelle ordinate campagne olandesi, mi imbattei da vicino per la prima volta in una pala eolica. Le avevo viste sui libri di scienza ma, come si sa, da vicino l’effetto fu tutt’altro. Mi ero imbattuto in precedenza con i loro antenati: i mulini a vento. Anche se semanticamente la parola mulino ci fa venire in mente la produzione di farina, con mio forte stupore scoprii che erano le pompe della più grande e ingegnosa opera idraulica realizzata nel Nord Europa nel XVII sec.. Vennero, infatti, costruiti per far emergere la terra dal mare ad opera di un popolo che ha dovuto crearsi letteralmente la terra da coltivare sottraendola al mare e è per questo nei secoli hanno continuato a rispettarla.
Alte, esili ma al tempo stesso possenti, roteavano quasi sincronizzate le une alle altre, allineate lungo la strada che percorrevo. Innanzi a questo prodigio dell’ingegneria umana la mia ingenua esclamazione non poté che essere: “perché noi no, perché noi italiani no”.
A guardarle bene non mi sembrarono tanto difficile da realizzare, anche se non avevo che poche conoscenze di fisica ed elettronica, il principio era noto anche ai bambini, come le girandole con cui eravamo abituati a giocare ed intrattenerci tutti nella nostra infanzia. Un enorme palo d’acciaio, tre o quattro pale in materiale ultraleggero e una dinamo. Il gioco era fatto.
Mi risposi, in prima battuta, che forse da noi non c’era abbastanza vento da poter produrre costantemente energia elettrica ma mi dissero che era sufficiente. Immaginai che l’Italia non avesse abbastanza soldi per poterle realizzare ma eravamo ai primi degli anni novanta e ne avevamo spesi 1.300 miliardi delle vecchie lire per rimodernare gli stadi, di contro, il costo di una pala eolica aveva una spesa di appena un centinaio di milioni di vecchie lire. Un controvalore di 13.000 pale eoliche con una capacità produttiva 615.000 Kw. Una centrale nucleare costa circa in lire 10.000 miliardi e ne produce 1.500 Mw. Allora pensai: perché siamo italiani! e la risposta mi fu esauriente.
Sono passati venti anni e poiché è difficile trovare un gruppo di amici che con un sacco a pelo e un solo zaino sia disposto a viaggiare senza meta per l’Europa, invece che restare comodamente sdraiati al sole su di un lettino in una tranquilla località balneare, si finisce per ripiegare al mare. Quest’anno mi è toccata una località in Calabria: Capo Rizzuto. Nell’estenuante viaggio lungo la famigerata Salerno-Reggio Calabria, con mio stupore mi sono imbattuto in centinaia di pale eoliche e decine di ettari di pannelli fotovoltaici. Disposte in modo caotico, nelle valli, sui monti, in collina tra foreste e terreni aridi, anche la direzione verso la quale erano rivolte sembrava arbitraria, caratterizzavano il panorama che mi si presentava di fronte. Più che l’ordinata campagna olandese mi riportavano alla mente la marcia dei giganteschi martelli del video di “The Wall” dei Pink Floyd.
Ma che era successo? Tra la valle di Maddaloni e di Durazzano in Campania c’è un monte che ne ha appena sette le quali, da casa, riesco a vederle nei giorni in cui il cielo è terso, ma vederne centinaia d’improvviso è stupefacente, soprattutto in una regione, come la Calabria, di cui tutto avrei immaginato eccetto che si fosse d’improvviso riconvertita nella produzione di enorme quantità di energie rinnovabili.
Al mio ritorno ho iniziato un po a documentarmi e con mio sommo stupore e rammarico ho scoperto che quello che per anni avevo considerato essere il futuro dell’energia, d’improvviso è risultato essere il presente del business della mafia. Il giro di affari delle pale eoliche solo quest’anno è stato di 230 miliardi di euro, tutti prelevati dalle bollette della luce degli italiani,. Nei mesi scorsi avevano arrestato alcuni faccendieri di una multinazionale per evasione fiscale, sequestrati 1,5 miliardi di euro in vari conti ed è emerso che le pale eoliche facevano e fanno fare alle aziende che le gestivano più soldi nella loro fase di istallazione che nella loro effettiva produzione di energia. Sgravi fiscali, incentivi e finanziamenti, creavano un circolo vizioso in cui società di comodo, multinazionali, come delle scatole cinesi, da un lato raccoglievano soldi e dall’altro riciclavano quelli provenienti da attività criminali. Che le pale eoliche fossero servite a fare soldi me ne sarei dovuto accorgerne durante il mio viaggio in Calbria, perché, vento o non vento, molte non giravano ed alcune erano istallate anche al di sotto del ciglio dei montagna. La loro disposizione caotica aveva adesso un senso. Un terreno inedificabile perché prossimo ad un area protetta, o arido perché appena incendiato, scosceso e roccioso, quale valore avrebbe mai potuto avere? Con l’istallazione delle pale eoliche fino a 450 mila euro al mese di affitto. E le amministrazioni locali? Corrotte o non, condizionate o non, come avrebbero potuto dire di no a chi proponeva energia pulita, ecologica e soprattutto con progetti apparentemente inattaccabili a qualsiasi valutazione costi-benefici? Chi avrebbe nel profondo Sud dell’Italia detto di no al progresso sostenibile, dove scarseggia anche quello insostenibile? In Calabria, ho imparato a mie spese, anche le cose che serbano buone da mangiare, vanno prima assaggiate con cautela. Un apparente innocua bruschetta al pomodoro o una salsiccia, che al primo morso può essere deliziosa, dopo pochi secondi, improvvisamente, si trasforma nell’anticamera dell’inferno. Ti senti ardere le labbra, la lingua, la gola e fino a quando le tue papille gustative non cessano di farti soffrire ti domandi: “ma sono pazzi?”. Le pale eoliche hanno avuto su di me lo stesso effetto: vedi le prime è ti meravigli piacevolmente, poi ne scorgi all’orizzonte centinaia che tutto danno eccetto l’idea di sostenibilità e ti domandi: “ma sono pazzi?”.
L?ingenua domanda che mi posi in Olanda oggi mi ritorna in mente come vent’anni fa, anche se leggermente diversa: “perché noi?” la risposta è rimasta purtroppo identica: perché siamo italiani!

